Certamen Ciceronianum Arpinas

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Via Aquila Romana, 2 Arpino (Fr) - Italy

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XLIV CERTAMEN CICERONIANUM - ARPINO: 8-9-10-11 MAGGIO 2025

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La Versione 2009 della XXIX edizione

DALLE "TUSCULANAE DISPUTATIONES" - LIBRO V,  XXXIX, 114

TESTO LATINO

 

Iniurias fortunae, quas ferre nequeas, defugiendo relinquas
Democritus, luminibus amissis, alba scilicet discernere et atra non poterat, at vero bona mala, aequa iniqua, honesta turpia, utilia inutilia, magna parva poterat, et sine varietate colorum licebat vivere beate, sine notione rerum non licebat. Atque hic vir impediri etiam animi aciem aspectu oculorum arbitrabatur, et cum alii saepe, quod ante pedes esset, non viderent, ille in infinitatem omnem peregrinabatur ut nulla in extremitate consisteret. Traditum est etiam Homerum caecum fuisse; at eius picturam, non poesin videmus: quae regio, quae ora, qui locus Graeciae, quae species formaque pugnae, quae acies, quod remigium, qui motus hominum, qui ferarum non ita expictus est ut, quae ipse non viderit, nos ut videremus, effecerit? In surditate vero quidnam est mali? Erat surdaster M. Crassus, sed aliud molestius, quod male audiebat, etiamsi, ut mihi videbatur, iniuria. Nostri Graece fere nesciunt nec Graeci Latine. Ergo hi in illorum et illi in horum sermone surdi, omnesque item nos in iis linguis quas non intellegimus, quae sunt innumerabiles, surdi profecto sumus. "At vocem citharoedi non audiunt". Ne stridorem quidem serrae, tum cum acuitur, aut grunditum, cum iugulatur, suis nec, cum quiescere volunt, fremitum murmurantis maris; et si cantus eos forte delectant, primum cogitare debent, ante quam hi sint inventi, multos beate vixisse sapientes, deinde multo maiore percipi posse legendis his quam audiendis voluptatem. Congerantur in unum omnia, ut idem oculis et auribus captus sit, prematur etiam doloribus acerrumis corporis. Qui primum per se ipsi plerumque conficiunt hominem; sin forte longinquitate producti vehementius tamen torquent quam ut causa sit cur ferantur, quid est tandem, dii boni, quod laboremus? Portus enim praesto est, quoniam mors ubi est ibidem est aeternum nihil sentiendi receptaculum. Paulus Persi deprecanti ne in triumpho duceretur, "In tua", inquit, "id certe potestate est". Mihi quidem in vita servanda videtur illa lex, quae in Graecorum conviviis obtinetur: "Aut bibat", inquit, "aut abeat". Et recte. Aut enim fruatur aliquis pariter cum aliis voluptate potandi aut, ne sobrius in violentiam vinolentorum incidat, ante discedat. Sic iniurias fortunae, quas ferre nequeas, defugiendo relinquas

 

TRADUZIONE ITALIANA

 


"Evita con la fuga le ingiurie della sorte che non puoi sopportare" Democrito, perduta la vista, non poteva ovviamente discernere il bianco dal nero, ma era bensì in grado di distinguere il bene dal male, il giusto dall’ingiusto, l’onesto dal disonesto, l’utile dall’inutile, il grande dal meschino, e senza la varietà dei colori gli era consentito di vivere felicemente, mentre ciò non gli sarebbe stato possibile senza la conoscenza delle cose. Anzi quest’uomo riteneva addirittura che l’acutezza della mente fosse ostacolata dalla vista materiale, e, mentre altri spesso non vedevano ciò che stava davanti ai loro piedi, egli spaziava per tutto l’infinito, al punto di non trovare limite davanti al quale si arrestasse. Si tramanda che anche Omero fosse cieco; eppure di lui noi vediamo un dipinto, non un’opera poetica: quale regione, quale lido, quale località della Grecia, quale tipo e disposizione di battaglia, quale schieramento terrestre, quale spiegamento navale, quale movimento di uomini o di fiere non è raffigurato in modo da far sì che noi vedessimo ciò che egli non vide? E anche nella sordità che male c’è? Marco Crasso ci sentiva poco, ma c’era un’altra cosa più spiacevole, che egli sentiva parlar male di sé, anche se, come a me sembra, a torto. I nostri concittadini ignorano per lo più il greco, i Greci il latino. Dunque i primi sono sordi nella lingua dei secondi e viceversa, e parimenti noi tutti siamo indubbiamente sordi nelle lingue - e sono tante - che non capiamo. "Ma i sordi non sentono la voce di un citaredo". Non sentono neppure lo stridore di una sega, quando viene affilata, o il grugnito di un maiale, quando viene sgozzato, né il fragore del mare che rumoreggia, quando hanno voglia di riposare; e nel caso che la poesia lirica li appassioni, anzitutto debbono pensare che prima che essa fosse inventata molti saggi vissero felicemente, in secondo luogo che si può ricavare molto maggiore piacere nel leggerla che nell’ascoltarla. Ma supponiamo che in una sola persona si concentrino tutte le disgrazie, di modo che questa oltre che ad essere colpita nella vista e nell’udito sia anche afflitta da terribili sofferenze fisiche. Queste ultime già da sole in genere distruggono un uomo; se poi, prolungate nel tempo, infieriscono troppo violentemente perché vi sia motivo di sopportarle, che ragione c’è infine, dio santo, di patire? C’è a disposizione un porto, giacché dove c’è la morte lì c’è un rifugio in cui non si avverte più per l’eternità alcuna sensazione. Paolo a Perseo che lo scongiurava di non condurlo in trionfo rispose: "Questo, non c’è dubbio, dipende da te". Per quanto mi riguarda, mi sembra che nella vita si debba seguire la stessa legge che si osserva nei conviti greci "Beva", si dice, "o esca". E a buon diritto. Infatti, o uno gode insieme con gli altri del piacere del bere, oppure, per non incorrere, da sobrio, nella violenza degli avvinazzati, si allontani prima. Tu evita così con la fuga le ingiurie della sorte che non puoi sopportare.

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