La versione
FORTITUDO ET SAPIENTIA
Est omnino fortium virorum, quales vos esse debetis, virtutem praestare (tantum enim possunt), fortunae culpam non extimescere. Sed, quoniam ab hoc ordine non fortitudo solum, verum etiam sapientia postulatur (quamquam vix videntur haec posse seiungi, seiungamus tamen), fortitudo dimicare iubet, iustum odium incendit, ad confligendum impellit, vocat ad periculum. Quid sapientia? Cautioribus utitur consiliis, in posterum providet, est omni ratione tectior. Quid igitur censet? Parendum est enim atque id optimum iudicandum quod sit sapientissime constitutum. Si hoc praecipit, ne quid vita existimem antiquius, ne decernam capitis periculo, fugiam omne discrimen, quaeram ex ea: “Etiamne, si erit, cum id fecero, serviendum?”. Si annuerit, ne ego sapientiam istam, quamvis sit erudita, non audiam. Sin responderit: “Tu vero ita vitam corpusque servato, ita fortunas, ita rem familiarem, ut haec libertate posteriora ducas itaque his uti velis, si libera re publica possis, nec pro his libertatem, sed pro libertate haec proicias tamquam pignora iniuriae”, tum sapientiae vocem audire videar eique ut deo paream. Itaque, si, receptis illis [scilicet M. Antonio eiusque sociis], esse possumus liberi, vincamus odium pacemque patiamur; sin otium, incolumibus eis, esse nullum potest, laetemur decertandi oblatam esse fortunam: aut enim, interfectis illis, fruemur victrice re publica, aut oppressi (quod omen avertat Iuppiter!) si non spiritu, at virtutis laude vivemus.
CORAGGIO E SAGGEZZA
È senz’altro proprio di uomini forti, quali voi dovete essere, mostrare tutto il proprio valore (tanto infatti è in loro potere), non temere un difetto della fortuna. Ma, poiché da quest’Ordine si esige non solo coraggio, ma anche saggezza (benché sembra che queste due cose possano difficilmente essere separate, tuttavia separiamole), il coraggio impone di combattere, accende un giusto odio, spinge ad entrare in conflitto, chiama al pericolo. E la saggezza? Tiene una condotta più prudente, pensa all’avvenire, è in ogni modo più cauta. Qual è perciò la sua opinione? Bisogna infatti stare ai suoi consigli e giudicare ottimo ciò che sia stato stabilito nella maniera più saggia. Se mi raccomanda di non ritenere nulla più importante della vita, di non combattere col rischio di morire, di fuggire ogni pericolo, io le chiederò: “Anche se, così facendo, mi ridurrò in schiavitù?” Se dirà di sì, di certo non starò a sentire una tale saggezza, per quanto nutrita di dottrina. Se invece mi rispondesse: “Tu proteggi pure la tua vita e il tuo corpo, la tua posizione, i tuoi beni, ma in modo tale da posporli alla liberta, e da volerti servire di essi, per quanto possibile, in uno Stato libero, e da non gettar via la libertà in cambio di essi, ma da gettar via essi, quasi pegno d’ingiustizia, in cambio della libertà”, allora sì che mi sembrerebbe di ascoltare la voce della saggezza e le ubbidirei come a un dio. Perciò se, accolti fra noi quegli uomini [cioè Marco Antonio e i suoi], possiamo essere liberi, reprimiamo l’odio e rassegniamoci alla pace; se invece, finché essi saranno sani e salvi, non può esservi alcuna tranquillità, rallegriamoci che ci sia stata offerta l’opportunità di combattere: o infatti dopo averli annientati godremo del trionfo dello Stato, oppure, sconfitti (che Giove storni il malaugurio!), vivremo se non respirando quest’aria, almeno della gloria che ci verrà dal valore.