La Prova della XXXIX edizione
La Prova della XXXIX edizione del Certamen Ciceronianum Arpinas
DE PACE CUM INIQUO FACIENDA NE COGITARI QUIDEM POTEST
Quid si ne potest quidem ulla esse pax? Quae enim est condicio pacis, in qua ei cum quo pacem facias nihil concedi potest? Multis rebus a nobis est invitatus ad pacem Antonius: bellum tamen maluit. Missi legati repugnante me, sed tamen missi; delata mandata: non paruit. Denuntiatum est ne Brutum obsideret, a Mutina discederet: oppugnavit etiam vehementius. Et ad eum legatos de pace mittemus, qui pacis nuntios repudiavit? Verecundioremne coram putamus in postulando fore quam fuerit tum cum misit mandata ad senatum? Atqui tum ea petebat, quae videbantur improba omnino, sed tamen aliquo modo posse concedi: nondum erat vestris tam gravibus tamque multis iudiciis ignominiisque concisus. Nunc ea petit, quae dare nullo modo possumus, nisi prius volumus bello nos victos confiteri.
Senatus consulta falsa delata ab eo iudicavimus: num ea vera possumus iudicare? Leges statuimus per vim et contra auspicia latas eisque nec populum nec plebem teneri: num eas restitui posse censetis? Sestertium septiens miliens avertisse Antonium pecuniae publicae iudicavistis: num fraude poterit carere peculatus? Immunitates ab eo civitatibus, sacerdotia, regna venierunt: num figentur rursus eae tabulae, quae vos decretis vestris refixistis?
Quod si ea quae decrevimus obruere volumus, num etiam memoriam rerum delere possumus? Quando enim obliviscetur ulla posteritas cuius scelere in hac vestitus foeditate fuerimus? Ut centurionum legionis Martiae Brundisi profusus sanguis eluatur, num elui praedicatio crudelitatis potest? Ut media praeteream, quae vetustas tollet operum circum Mutinam taetra monumenta, sceleris indicia latrocinique vestigia?
Huic igitur importuno atque impuro parricidae quid habemus – per deos immortalis! – quod remittamus? An Galliam ultimam et exercitum? Quid est aliud non pacem facere, sed differre bellum, nec solum propagare bellum, sed concedere etiam victoriam? An ille non vicerit, si quacumque condicione in hanc urbem cum suis venerit? Armis nunc omnia tenemus; auctoritate valemus plurimum; absunt tot perditi cives, nefarium secuti ducem; tamen eorum ora sermonesque, qui in urbe ex eo numero relicti sunt, ferre non possumus. Quid censetis, cum tot uno tempore inruperint, nos arma posuerimus, illi non deposuerint, nonne nos nostris consiliis victos in perpetuum fore?
DI FAR LA PACE CON L’INGIUSTO NON C’È NEANCHE DA PENSARLO
E se poi la pace non ci può essere proprio? Infatti, che modalità di pace è quella in cui a colui con cui tu vorresti fare la pace nulla si può concedere? Con molti atti Antonio è stato da noi invitato alla pace: tuttavia ha preferito la guerra. Gli sono stati mandati degli ambasciatori mentre io ero contrario, ma comunque gli sono stati mandati; gli sono state trasmesse delle disposizioni: non ha obbedito. Gli è stato ingiunto di non stringere d’assedio (Decimo) Bruto, di allontanarsi da Modena: ha continuato ad attaccare con violenza anche maggiore. E ora manderemo a lui degli ambasciatori di pace, a lui che ha respinto coloro che gli annunciavano la pace? Pensiamo che a faccia a faccia sarà più moderato nelle sue pretese di quanto lo sia stato quando inviò ordini al senato? Eppure allora chiedeva cose che certo sembravano del tutto fuor di luogo, ma che tuttavia in qualche modo pareva si potessero concedere: e non era ancora stato colpito dai vostri infamanti giudizi, tanto gravi e tanto numerosi. Ora avanza pretese che non possiamo in alcun modo concedere, a meno di non volerci prima confessare sconfitti in guerra.
Le deliberazioni del senato da lui registrate le abbiamo giudicate dei falsi: possiamo forse giudicarle autentiche? Abbiamo deciso che le sue leggi sono state fatte approvare con la forza e contro gli auspici, e che né il popolo né la plebe sono tenuti a osservarle: ritenete forse che possano essere ripristinate? Avete sentenziato che Antonio ha sottratto settecento milioni di sesterzi al tesoro dello stato: potrà forse rimanere esente dall’imputazione di peculato? Sono stati da lui messi in vendita esenzioni fiscali per comunità cittadine, sacerdozi, regni: forse che si affiggeranno nuovamente quelle tavole di legge che voi coi vostri decreti avete schiodate?
E se poi vogliamo abbattere quello che abbiamo decretato, forse che possiamo anche cancellare la memoria dei fatti? Quale generazione futura potrà mai dimenticare che per suo crimine abbiamo dovuto vestire quest’abito (militare) così indegno? Per quanto si possa lavare il sangue versato a Brindisi dai centurioni della legione Marzia, può forse essere diluita l’universale fama di efferatezza? Lasciando stare gli avvenimenti intermedi, quale misura di tempo trascorso toglierà di mezzo gli orrendi monumenti tutt’attorno a Modena, gli indizi di delitto e le tracce di brigantaggio?
A quest’odioso e sozzo traditore – per gli dei immortali! – che abbiamo da concedere? Forse la Gallia Transalpina e un esercito? Ma ciò a cos’altro si ridurrebbe che non a fare la pace, ma a rimandare la guerra, e non solo a prolungare la guerra, ma addirittura a concedere la vittoria? Non avrà forse vinto, se a qualsivoglia condizione sarà venuto in quest’Urbe coi suoi? Ora controlliamo ogni cosa con le armi; moltissimo vale la nostra autorità; lontani sono tanti cittadini perversi, al seguito del loro duce infame; e tuttavia, le facce e le parole di quelli della loro congrega che qui sono rimasti, non possiamo sopportarli. Che pensate? Quando in tanti irromperanno contemporaneamente, noi avremo deposto le armi e loro non l’avranno fatto, non saremo vinti per sempre proprio a causa delle nostre decisioni?
(Traduzione non ufficiale)
Cicerone, Filippica 12, 11-13.