Certamen Ciceronianum Arpinas

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Via Aquila Romana, 2 Arpino (Fr) - Italy

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XLIV CERTAMEN CICERONIANUM - ARPINO: 8-9-10-11 MAGGIO 2025

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La Versione: QUA CAUSA QUAQUE RATIONE CICERO AD PHILOSOPHIAM REVERSUS SIT

Quamquam libri nostri complures non modo ad legendi, sed etiam ad scribendi studium excitaverunt, tamen interdum vereor ne quibusdam bonis viris philosophiae nomen sit invisum mirenturque in ea tantum me operae et temporis ponere.

Ego autem quam diu res publica per eos gerebatur, quibus se ipsa commiserat, omnes meas curas cogitationesque in eam conferebam. Cum autem dominatu unius omnia tenerentur neque esset usquam consilio aut auctoritati locus, socios denique tuendae rei publicae summos viros amisissem, nec me angoribus dedidi, quibus essem confectus, nisi iis restitissem, nec rursum indignis homine docto voluptatibus.
Atque utinam res publica stetisset quo coeperat statu nec in homines non tam commutandarum quam evertendarum rerum cupidos incidisset! Primum enim, ut stante re publica facere solebamus, in agendo plus quam in scribendo operae poneremus, deinde ipsis scriptis non ea, quae nunc, sed actiones nostras mandaremus, ut saepe fecimus. Cum autem res publica, in qua omnis mea cura cogitatio opera poni solebat, nulla esset omnino, illae scilicet litterae conticuerunt forenses et senatoriae.
Nihil agere autem cum animus non posset, in his studiis ab initio versatus aetatis existimavi honestissime molestias posse deponi, si me ad philosophiam retulissem. Cui cum multum adulescens discendi causa temporis tribuissem, posteaquam honoribus inservire coepi meque totum rei publicae tradidi, tantum erat philosophiae loci, quantum superfuerat amicorum et rei publicae tempori. ld autem omne consumebatur in legendo, scribendi otium non erat.
Maximis igitur in malis hoc tamen boni assecuti videmur, ut ea litteris mandaremus, quae nec erant satis nota nostris et erant cognitione dignissima. Quid enim est, per deos, optabilius sapientia, quid praestantius, quid homini melius, quid homine dignius? Hanc igitur qui expetunt, philosophi nominantur, nec quicquam aliud est philosophia, si interpretari velis, praeter studium sapientiae.

Cicero, De officiis (2, 2-5)

 

MOTIVI DEL RITORNO DI CICERONE ALLA FILOSOFIA

Sebbene i nostri libri abbiano stimolato moltissimi a impegnarsi non solo nella lettura, ma anche nella scrittura, a volte temo, tuttavia, che a un certo numero di persone perbene il termine ‘filosofia’ sia inviso, e che costoro si stupiscano del fatto che io dedichi a essa tanta fatica e tanto tempo. E del resto, fin quando la cosa pubblica era gestita da coloro cui da sè stessa s’era affidata, in essa io riversavo tutte le mie cure e tutti i miei pensieri. Dal momento però in cui tutto era tenuto in pugno dal dominio di uno solo e non v’era più alcuno spazio per esprimere pareri o per esercitare influenza, e per di più avevo perduto quegli uomini sommi che mi erano stati compagni nel tutelare lo Stato, io non mi abbandonai né ad angosce, dalle quali sarei stato distrutto se non avessi loro opposto resistenza, né, per contro, a piaceri indegni di un uomo dotto.

E volesse il cielo che lo Stato fosse rimasto saldo nella condizione nella quale aveva cominciato a trovarsi e non fosse caduto in potere di uomini bramosi non tanto di mutare quanto di sconvolgere le cose! In primo luogo infatti — come solevamo fare quando lo Stato era ancora in piedi — ci impegneremmo nell’agire piuttosto che nello scrivere, e poi, agli stessi scritti affideremmo non gli argomenti di cui ora tratto, ma le nostre attività, come sovente abbiamo fatto. Ma poiché lo Stato, in cui ogni mia cura, pensiero, fatica soleva riporre, non esisteva assolutamente più, quegli scritti correlati al Foro e al Senato ovviamente tacquero.

Poiché però il mio animo non poteva starsene inerte, avendo frequentato fin dai primi anni questi studi, ritenni che mi sarei potuto sgravare nel modo più dignitoso di quell’oppressione se mi fossi nuovamente indirizzato alla filosofia. E sebbene alla filosofia da giovane, a fini formativi, io avessi destinato molto tempo, dopo che cominciai a dedicarmi integralmente alla carriera politica, e tutto mi diedi alla cosa pubblica, per essa restava solo quel tanto di spazio che sopravanzava alle esigenze di tempo degli amici e dello Stato. Tale spazio, peraltro, si esauriva tutto nella lettura; di scrivere non avevo agio.
In mezzo ai più grandi mali, perciò, ci sembra comunque di aver conseguito questo buon risultato, di fissare per iscritto argomenti che ai miei concittadini non erano sufficientemente noti, ed erano tuttavia degnissimi d’essere conosciuti. Infatti — in nome degli dei — cosa c’è di più desiderabile della sapienza, cosa di più valido, cosa di migliore per l’uomo, cosa di più degno dell’uomo? Coloro dunque che ad essa aspirano hanno nome di ‘filosofi’, e la ‘filosofia’ — se ne vuoi intendere il senso etimologico — altro non è che la ‘passione per la sapienza’.

 

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