La versione
Sapientis iudicis officia
Non debeo dubitare, iudices, quin, si qua ad vos causa eius modi delata sit eius qui lege non teneatur, etiam si is invidiosus aut multis offensus esse videatur, etiam si eum odentis, etiam si inviti absoluturi sitis, tamen absolvatis et religioni potius vestrae quam odio pareatis. Est emm sapientis iudicis cogitare tantum sibi a populo Romano esse permissum quantum commissum sit et ereditimi, et non solimi sibi potestatem datam, verum etiam fidem habitam esse meminisse; posse quem odent absolvere, quem non oderit condemnare, et semper non quid velit ipse, sed quid lex et religio cogat cogitare; animadvertere qua lege reus citetur, de quo reo cognoscat, quae res in quaestione versetur. Cum haec sunt videnda, tum vero illud est hominis magni, iudices, atque sapientis, cum illam iudicandi causa tabellam sumpserit, non se reputare esse solum nec sibi quodcumque concupierit licere, sed habere in consilio legem, religionem, aequitatem, fidem; libidmem autem, odium, invidiam, metum cupiditatesque omnis amovere maximique aestimare conscientiam mentis suae, quam ab dis immortalibus accepimus, quae ab nobis divelli non potest; quae si optimorum consiliorum atque faetorum testis in omni vita nobis erit, sine uno metu et summa cum honestate vivemus. Haec si T. Attius aut cognovisset aut cogitasse!, profecto ne conatus quidem esset dicere id quod multis verbis egit, iudicem quod ei videatur statuere et non devinctum legibus esse oportere, Quibus de rebus mihi prò rei dignitate parum, prò vestra prudentia satis dixisse videor.
I doveri del giudice saggio
Non debbo dubitare, giudici, che se qualche causa di questo genere venisse portata di fronte a voi relativa a uno che non sia vincolato dalla legge, anche se costui sembrasse essere sgradito o inviso a molti, anche se lo odiaste, anche se lo assolvereste a malincuore, tuttavia lo assolvereste e ubbidireste più al vostro scrupolo che all'odio. E- infatti proprio di un giudice saggio considerare che dal popolo romano gli è consentito quel tanto che gli è stato consegnato e affidato, e ricordarsi che non solo gli sono stati dati dei poteri, ma che si è anche riposta fiducia in lui; avere la possibilità di assolvere chi odia, condannare chi non odia, e pensare sempre non a ciò che egli personalmente vuole, ma a ciò che la legge e lo scrupolo impongono; tenere bene a mente in base a quale legge l'accusato sia chiamato in giudizio, su quale accusato egli istruisca la causa, su quale tema verta il dibattito. Questi elementi debbono ceno essere tenuti presenti, ma ciò che caratterizza un uomo grande e saggio, o giudici, quando avrà preso in mano la famosa tavoletta su cui apporre il verdetto, è pensare di non essere solo e di non avere licenza di fare qualunque cosa desideri, ma di avere a consiglieri la legge, lo scrupolo, la giustizia, la lealtà; di allontanare invece l'arbitrio, l'odio, la malevolenza, il timore e tutte le passioni, e di fare il più alto conto della coscienza interiore, che abbiamo ricevuto dagli dèi immortali, che non ci può essere estirpata; e se tale coscienza sarà con noi per tutta la vita come testimone delle decisioni e delle azioni più onorevoli, vivremo senza alcun timore e con la massima dignità. Se ciò T. Atrio avesse saputo o considerato, certo non avrebbe neppure tentato di dire quello che ha sostenuto con un lungo discorso, e cioè che un giudice deve decidere ciò che gli sembri opportuno e non sentirsi vincolato dalla leggi. Su questo argomento mi sembra di aver detto poco per l'importanza della causa, abbastanza per la vostra saggezza.